Havana Club: un marchio di successo

Nel 1935 all’Avana nasce l’Havana Club Bar nella Piazza della Cattedrale. In quel bar i baristi usano per i loro cocktail un rum che porta lo stesso nome, Havana Club. Un marchio di proprietà della grande impresa ronera Arechabala che lo produce nella città di Càrdenas: il grande successo del rum Havana Club inizia allora. Dopo la rivoluzione castrista del 1959, Arechabala, come le altre imprese cubane, viene nazionalizzata e continua la produzione, anche se credo un po’ in sordina.

Nei decenni successivi Havana Club viene esportato nella allora Unione Sovietica e negli altri Paesi Socialisti dell’Europa dell’Est, allora stretti alleati del governo cubano. Nel 1993, dopo il crollo dell’Urss, il governo cubano stringe un accordo con la multinazionale francese Pernod Ricard per rilanciare la produzione di Havana Club e distribuirlo in tutto il mondo. La mossa è un successo. In quegli anni Pernod Ricard cresce molto ed oggi è la seconda impresa al mondo nel settore delle bevande alcoliche.
E Havana Club arriva, o a volte torna, sui mercati di tutto il mondo, con l’esclusione, come sappiamo, degli Usa.

E’ un marchio di grande successo in particolare in Europa, dove da anni assistiamo ad una crescita del consumo di rum, e dove oggi Havana Club è il rum dorato più venduto.
Forza del marchio, forza del prodotto?

Il marchio è perfetto per l’immaginario collettivo dell’europeo medio sul rum. Tutti più o meno sanno qualcosa di Cuba e dell’Havana, e molti europei ci sono stati. E normalmente sono tornati incantati. Lo hanno bevuto a Cuba, e ne hanno comprato qualche bottiglia da portarsi dietro. E tornati a casa vogliono riprovare quelle emozioni, almeno in parte, e continuano a bere Havana Club.

Su questo inesausto desiderio europeo di esotismo la Pernod Ricard lavora con intelligenza. Visitate i siti di Havana Club. Sono belli, un po’ anticati, informati ma non troppo, colti il giusto. Soprattutto sono molto cubani. Le strade, le piazze, la gente, la musica, i paesaggi… Cuba è cucinata in tutte le salse. Forse troppe, ma insomma, non stucca affatto, anzi. E’ chiaramente un messaggio pensato per un pubblico europeo culturalmente abbastanza maturo ed avvertito che cerca roba buona, autentica, tipica e, certo, esotica. Rispetto ai siti di Bacardi e al loro marketing siamo su un altro piano.

Claudio Pierini

Il marchio Havana Club fra Bacardi e Cuba

Qualcuno la ha già chiamata la guerra del rum. Dura in realtà da più di mezzo secolo, da quando nel 1960 il governo rivoluzionario cubano nazionalizzò le fabbriche Bacardi a Cuba. Anche se solo negli ultimi anni ha preso la sua forma attuale.

La Bacardi da una lato e la Pernod Ricard e il governo cubano dall’altro si sono contesi per anni la possibilità di usare il marchio Havana Club negli Stati Uniti. Ed ha vinto Bacardi. La Corte Suprema Usa, sì, proprio la Corte Suprema, ha posto fine alla disputa negando il 14 maggio alla compagnia Cubaexport la possibilità di difendere il suo diritto di iscrizione del marchio negli Stati Uniti.
Quindi negli Stati Uniti, e solo negli Stati Uniti, con il marchio Havana Club si continuerà a vendere un rum prodotto a Porto Rico dalla Bacardi. Mentre nel resto del mondo con il marchio Havana Club si vende un rum prodotto a Cuba e distribuito dalla multinazionale francese Pernod Ricard.
Prima della nazionalizzazione la Bacardi aveva già trasferito marchio e impianti all’estero quindi riuscì a sopravvivere fuori da Cuba ed oggi è una grande multinazionale con sede a Nassau, nelle Bermuda.
Ma Cuba continua ad essere centrale nell’immaginario collettivo dei consumatori di rum, e sotto il marchio, fortissimo, di Havana Club, in origine di proprietà della famiglia Arechabala e poi nazionalizzato, a Cuba si è continuato a produrre rum che a partire da un accordo del 1993, è distribuito dalla multinazionale francese Pernod-Ricard.

Nel 1996 la Bacardi mise in vendita negli Stati Uniti una marca Havana Club prodotta prima nelle Bahamas e poi a Porto Rico. La Pernod-Ricard rispose con una denuncia sostenendo che l’indicazione Havana Club confondeva i consumatori inducendoli a credere che il rum fosse prodotto, appunto, all’Havana. La Bacardi rispose che era solo un nome commerciale, non un’indicazione geografica, che certamente rinviava all’origine cubana della ditta, ma che sull’etichetta era chiaramente riportato il vero luogo di produzione. Così è iniziata la guerra legale a cui ha posto fine il 14 maggio scorso la sentenza della Corte Suprema. Come sempre quando si tratta di Cuba, ed in particolare di rum cubano, le considerazioni di ordine commerciale e legale si intrecciano con quelle di ordine politico. Alla base di tutto c’è ovviamente l’embargo che dura ormai da 50 anni degli Stati Uniti contro Cuba. E l’influenza che la Bacardi ha sulla politica degli Stati Uniti. Bacardí ha anche aiutato gli eredi in esilio della famiglia Arechabala a costituire in Liechtenstein la José Arechabala International, da cui ha acquistato i diritti di Havana Club nel 1997. Ed ha agito per far approvare una legge del 1998, detta “Sezione 211”, che nega il diritto di protezione intellettuale al marchio Havana Club cubano in territorio Usa, in quanto proveniente da espropriazione illegittima. Non è certo mia intenzione entrare nel merito di una vicenda cos’ complessa e che smuove simili interessi. Certo, la presenza di due rum diversi sotto lo stesso marchio Havana Club costituisce una situazione singolare e non facile da comprendere.

 

Marco Pierini

Pernod Ricard: scalata in vista?

Pernod Ricard è una delle più importanti multinazionali attive nel settore delle bevande alcoliche, nata nel 1975 dall’unione delle due aziende francesi Pernod e Ricard. Il suo portafoglio comprende centinaia di prodotti, ed è nota agli appassionati di rum per essere la proprietaria dei marchi Havana Club e Malibu, e a tutti gli italiani per l’amaro Ramazzotti. Nonostante la grande crescita che l’ha portata negli ultimi decenni ad essere uno dei leader mondiali del settore, la società ha mantenuto una struttura di governance “antiquata”, essendo ancora diretta da una gestione familiare: Alexander Ricard è infatti chairman e CEO, e la famiglia Ricard è tuttora l’azionista di maggioranza relativa, situazione alquanto peculiare per un’azienda di tale importanza e dimensione.

Eppure, questa peculiarità potrebbe finire: lo scorso 12 dicembre il fondo Elliott Management (noto a tutti i milanisti per essere il proprietario del Milan) ha annunciato di possedere una partecipazione superiore al 2,5% in Pernod Ricard. Certo, la partecipazione è ancora minima, ma Elliott non è certo un fondo che ha fama di accontentarsi di un 2,5%. E infatti (come riporta il settimanale Affari&Finanza dello scorso 11 febbraio) poco dopo l’acquisizione della quota di capitale Elliott ha diramato una nota in cui, a proposito di Pernod Ricard, parla di un “contesto caratterizzato da una corporate governance inadeguata e da una mancanza di prospettive esterne che ha contribuito ad una sottoperformance” per poi sottolineare come “miglioramenti in seno alla governance e a livello operativo potrebbero permettere a Pernod di sbloccare gran parte del valore della società”. In poche parole, uno schiaffo totale all’operato del management di Pernod Ricard.

La suddetta nota di Elliott termina auspicando la cessione di marchi non più strategici e una possibile fusione con un’altra grande azienda di alcolici. Secondo molto osservatori è proprio qui che si deve cercare la ratio delle azioni di Elliott: il fondo non vorrebbe infatti scalare Pernod Ricard e prenderne il controllo, ma favorire uno “spezzatino” tra due altri grandi player del mercato, il leader mondiale Diageo (proprietaria fra gli altri dei rum Captain Morgan, Zacapa, Cacique e Pampero) e l’azienda francese Lvmh.

Intanto, in una conferenza stampa lo scorso giovedì 7 febbraio, Alexander Ricard ha annnciato che il fatturato dell’azienda è cresciuto del 7,8%, arrivando a raggiungere 5,1 miliardi di Euro. Una cifra che fa gola a molti, e che legittima le ambizioni di Elliott.

Claudio Pierini