Alle origini della liquoristica italiana: l’Aqua Vitae Composita

Un tipo particolare di acquavite composta, che ebbe grande successo fra i più ricchi, era l’ Aurum potabile –  “Oro potabile” – cioè oro in forma di barrette, lamine o limatura  che si manteneva in infusione nel vino fino a distillare il tutto più volte, pensando (illudendosi) in questo modo di estrarre tutte le virtù medicinali della preziosa sostanza e trasferirle al liquore. Un rimedio, in definitiva, molto potente: l’obiettivo era quello di preservare il corpo dalla corruzione del tempo.
Con gli anni l’uso di bere acquavite si diffonde e il primo vero e proprio trattato ad essa dedicato è plausibilmente quello che il medico ferrarese Michele Savonarola – avo del più noto Fra’ Girolamo – scrisse poco prima del 1450: il “Libreto de aqua ardente”.

Savonarola spiega come, per fare della buona acquavite, ci vogliano vini nuovi, buoni, forti e quindi costosi. Spesso però la sostanza non manifesta i suoi benefici effetti poiché i proprietari e gestori dei terreni la producono con i loro vini peggiori o deteriorati:  “Se po comprehendere che l’aqua ardente non ha molte vuolte li soy effecti e le vertude proprie. La caxone de questo a la materia, zoè al vino, se de’ attribuire; ma più a li rectori e offittiali de le terre, li quali, per le proprie fazende, ne la salute e sanitate di soy citadini negligenti sonno, che in tanta divina cossa non ànno cura, odendo che de li vini marzi e aquadi da li artifici facta è l’aqua ardente.”

Savonarola descrive l’impegno e la complessità tecnica necessaria per una buona acquavite, mentre purtroppo al mercato il prodotto si vende ai poveri a basso prezzo: “Ma penssa ti e considera, che, e qualle, e chomo facta è l’aqua ardente, la qualle in piaza se vende a le povere e miserabelle persone”. A volte qualcuno ne beve troppa e si ubriaca: Savonarola consiglia moderazione, ma non è chiaro quale sia la quantità giusta, forse una “onza” (circa 30 grammi) al giorno, ma non lesina racconti su chi ne ha bevute tre – quattro al giorno per molti anni: a suo dire… senza danni, anzi vivendo a lungo.

Non mancano inoltre alcune parole, spese in uno specifico capitolo, riguardanti l’acquavite composta: “… la qualle composita è nominata, imperò che facta è con coniunctione d’altre cose”, il cui consumo eccessivo fa male non solo al corpo, ma anche “al cervello e a nervi fa grande nocimento, e l’omo perduxe al spasmo, e fa impacire.”

Nel Cinquecento si stampano ormai numerosi libri ed entrano in funzione molte distillerie, sparse un po’ in tutta Italia. Ogni corte ha la sua e si beve per il piacere, non più per curarsi. Aumenta anche il numero e la varietà dei prodotti: l’acquavite composta lascia il posto a veri e propri “liquori” di ogni genere. A Firenze, la Fonderia Medicea di Palazzo Pitti è all’avanguardia e – quando Caterina de’ Medici nel 1533 sposa a Parigi il futuro re Enrico II – i francesi scoprono le virtù dei liquori fiorentini, già all’epoca serviti alla fine del pasto, in particolare del “rosoglio”. E con la lunga reggenza di Caterina si diffonde l’uso di bere liquori, per lo più importati.
D’altronde… “ La consommation générale est le fait d’un commerce dans lequel les Hollandais ont tenu una grande place. La consommation plus raffinée est le fait des Italiens essentielments.”

Marco Pierini

PS: ho scritto questo articolo in occasione dell’evento Aperitivi&Co Experience che si è tenuto a Milano nel marzo 2018.

RUM E SALUTE

Uno degli errori più diffusi fra i contemporanei è la profonda e spesso inconsapevole convinzione che il mondo sia cominciato oggi, o al massimo ieri. Cioè, la convinzione che molti dei fenomeni che osserviamo nel nostro mondo siano assolutamente nuovi, mai visti prima. Questo accade per esempio con la moderna ossessione per il benessere, la cura del corpo, la salute. Ci sembra un fenomeno nuovo, frutto della società moderna, ricca ed affluente. Un fenomeno, molti pensano,  sconosciuto in passato, quando la società era più povera e rude, concentrata sulle cose essenziali della vita. Bene, non è vero.

La Gran Bretagna del ‘700 era ricca e potente. Politicamente ed economicamente nessuno la minacciava seriamente. E la buona società britannica era ossessionata dalla ricerca della salute, del corpo e della mente. La moderna medicina scientifica era solo all’inizio e per difendere la salute e migliorare il benessere si studiavano con impegno l’aria, il clima, il cibo, le bevande, le abitudini ecc. E’ questo per esempio il secolo in cui si diffondono le cure termali e l’uso dei bagni di mare per fini terapeutici. E’ anche il secolo in cui la fiducia nelle virtù salutari degli Spiriti comincia a vacillare.

I primi distillatori italiani del Duecento, dettero al loro liquore il nome di Aqua Vitae, acqua della vita, perché erano convinti che fosse una panacea per molte malattie. Questa diffusa convinzione aveva una solida base reale. So poco di storia della medicina,  ma sicuramente anche se all’epoca non si sapeva dell’esistenza dei microbi, le proprietà antisettiche dell’alcol erano evidenti. In un mondo pieno di microbi e spesso ignaro delle più elementari regole di igiene, è ragionevole pensare che i malati a cui era somministrato alcol ne avessero dei benefici. Da allora in tutta Europa e poi nelle colonie americane, rimase diffusa per secoli la convinzione che le bevande distillate fossero benefiche per la salute.

Nel ‘700 la nascita di una nuova e scientifica medicina cominciò a minare la fiducia nelle proprietà salutari dei distillati ed alcuni medici misero in evidenza i pericoli di un loro consumo eccessivo. Anche i movimenti per la temperanza muovevano i loro primi passi. Per stimolare il consumo di rum, era quindi necessario presentarlo come una bevanda salutare, che non nuoceva alla salute, anzi che faceva bene. Ancora meglio se si riusciva a scaricare il peso della nuova diffidenza verso gli Spiriti sui suoi concorrenti. Che nella gran Bretagna dell’epoca erano soprattutto due: il brandy fra le classi superiori e il gin fra quelle inferiori. Ed ambedue vennero attaccati.

Già nel 1690 un Dalby Thomas scrisse che il rum è “ più salutare per l’organismo [ del brandy] come si osserva dalla lunga vita degli abitanti delle colonie che sono grandi bevitori di Rum … e invece dalla breve vita di quelli che in patria sono grandi bevitori di Brandy”.  E nel 1770 quando le importazioni di rum avevano ormai superato quelle di brandy il Dottor Robert Dossie scrive: “Bere Rum con moderazione è più salutare, e berlo in eccesso è molto meno dannoso, che bere Brandy” Seguono pagine e pagine di prove mediche, dissertazioni chimiche, esperimenti “scientifici” ecc.

Il gin era un bersaglio più facile. Per produrlo si consumava il grano, prezioso per fare il pane, e la sua vasta diffusione fra i poveri era un grande problema sociale. Tanto che verso la metà del secolo il Parlamento intervenne con proibizioni e limiti che ridussero grandemente la produzione ed il consumo. E per ribadire la superiorità del rum un anonimo autore scrive nel 1760:
“Dalla proibizione del Gin, il consumo di Rum è molto cresciuto, e tuttavia la Ubriachezza Cronica con tutti I suoi spaventosi Effetti, è interamente cessata” e “ Il Gin è molto più dannoso per il Corpo Umano che lo Spirito dello Zucchero”

Poi il nostro autore prescrive il rum per l’inappetenza ed altre malattie affermando che il rum è indicato per “gli appetiti deboli e svogliati e per la digestione, e per molti disturbi debilitanti” e, dopo lunghe raccomandazioni di autorevoli medici, conclude: “Il Gin è uno Spirito troppo forte, acre e brucia troppo per l’Uso interno, ma il Rum è uno Spirito così lieve, balsamico e benigno che, se appropriatamente usato e diluito, può essere grandemente utile sia per il Sollievo che per l’Intrattenimento della Natura Umana”

Così, con l’aiuto dei suoi amici e delle loro argomentazioni “scientifiche”, il rum cominciò a conquistare le menti e le gole del popolo britannico.

Marco Pierini